Il buon senso di Domitilla Ferrari

Due gradi e mezzo di separazione è un libro vistoso, rosa shocking e bluette, impossibile non vederlo. E’ in libreria da un paio di settimane ed è un manuale di networking. La copertina manda il messaggio di un oggetto che va usato, e tutto il modo in cui il libro è costruito ha lo stesso messaggio. Vi dico qualcosa di utile. Vi trasmetto qualcosa che ho imparato. Vi apro una porta che vi sembrava chiusa a chiave.

ferrari

Vi ricordate i sei gradi di separazione? C’era anche un film con lo stesso titolo. Era un esperimento sociologico secondo cui se incaricate una persona di dare un pacco (un pacco vero, non metaforico) a qualcuno che non conosce, in sei passaggi al massimo glielo riesce a far recapitare. Del resto è quello che ci succede quando incontriamo qualcuno di nuovo: dopo un po’ che ci parliamo si scopre che è amico di un amico del fidanzato di nostra sorella… Ma con i social network i gradi di separazione sono diventati due e mezzo. Del resto i social si chiameranno pur social per un motivo.

Stabilito che i gradi di separazione sono due e mezzo, il networking dovrebbe essere un gioco da ragazzi. Ma visto che per molti non lo è, Domitilla lo spiega e lo analizza per farne vedere non solo e non tanto l’utilità, ma la ricchezza, la piacevolezza e il senso di una rete di conoscenti e amici che ci accompagni nella nostra vita, quella di lavoro ma anche quella personale. E anzi proprio mentre scrivo questa frase, mi ricordo che uno dei temi sui quali si fa chiarezza e si tolgono orpelli inutili è quello della separazione tra lavoro e vita privata, non annullato dai social network come alcuni paventano, ma reso più flessibile e variabile. Del resto, è sempre la nostra vita, no?

Ma quello che più di tutto mi piace è il tono, del libro. Se Pierre Lemaitre diceva che un romanzo dovrebbe essere un racconto sussurrato nell’orecchio del lettore, questo libro è una chiacchierata su un divanetto, davanti a un caffè lungo o un tè o una cioccolata, di quelle da cui ti alzi soddisfatto, perché ne sai di più di quando ti sei seduto, ma il tempo è volato. E’ pulito, diretto, chiaro; come dell’aria fresca che entra dalla finestra che finalmente ci siamo decisi ad aprire. Ed è quasi primavera!

Buon sabato e buona lettura!

Tu chiamale, se vuoi, emozioni

Hope

Hope

Un’immagine vale più di mille parole, si dice. Per noi copywriter, attivi o in pensione o semiattivi, è dura da digerire. Anche se quasi sempre una o due parole danno una svolta all’immagine.

Prendete questa. L’ha postata stamattina mio nipote Tobia, fotografo in erba ma ben presente su Facebook, dove si è fatto un suo sito come TDR Photography, con tanto di didascalie in italiano e in inglese. Quando si dice che i giovani non hanno iniziativa! Ma essendo un ragazzo, oltre che un fotografo in erba, questa foto spiccava fra le tante di automobili (Ferrari, Lamborghini e simili) e quelle delle smorfie sue e dei suoi amici. Spiccava anche per il titolo che gli aveva dato, Hope. C’è una crudezza in quelle foglie rinsecchite, e una fierezza nella margherita, che la semplice parola coglie e ci trasmette. Avrebbe avuto lo stesso effetto senza quella parola? Forse sì. Ma la parola ha definito l’immagine in modo definitivo, seppure abbastanza largo perché ognuno ci trovi la sua, di speranza.

Uno splendido acquerello i Alessandro Sanna, immagine rubata da Brain Picking che ringrazio

Uno splendido acquerello di Alessandro Sanna, immagine “rubata” da Brain Picking che ringrazio

E poi ho letto la newsletter che ricevo ogni settimana da Brain Picking. Il titolo di questa settimana era particolarmente dolce e suadente: A beautiful reminder that despite its occasional cruelties, life is mostly joyful, radiant, and above all ever-flowing. Si riferiva ad un bellissimo libro di acquarelli di Alessandro Sanna, che spero mi perdonerà per avergli “rubato” l’immagine qui sopra. Ma non potevo parlarne senza farlo vedere. Nello scorso mese che pare sia stato il febbraio più piovoso da 128 anni, mi ha ricordato non solo quella certa dolcezza che c’è nella pioggia, ma anche soprattutto quel pezzo di vita che c’è nella pioggia, il suo tempo e il suo posto nel fluire delle stagioni. Il libro di Sanna si chiama The river, e racconta semplicemente l’alternarsi delle stagioni e lo scorrere della vita e delle cose. Lo fa con degli acquerelli intensi, delicati e pieni di poesia, con tanti piccoli uomini di fronte alla grandezza della natura. Vorrei prendere tutto il libro e appenderlo come quadri lungo le pareti di una stanza… e penso che non ci metterei nemmeno una didascalia!

Stoner, il libro che fa bruciare le pentole

Se entrate in una libreria è probabile che troviate Stoner a guardarvi da uno dei banchi principali.

Perché Stoner di John Williams, pubblicato da Fazi, è stato uno dei successi inaspettati del 2013. Per me, forse il libro più bello che ho letto nel 2013 (non ho una grande memoria, quindi potrei smentirmi nel prossimo post!). E anche a me Stoner mi ha guardato dal bancone della libreria.

Stoner_di_John_Williams-okE ditemi se non ha un modo di guardarvi che vi fa fermare. Nel mio caso poi, trattandosi di una piccola libreria di una città di provincia dove ero di passaggio, si è aggiunto il libraio a consigliamerlo, avvisandomi però che era un libro in cui non succedeva niente…

In un certo senso è vero, che in Stoner non succede niente. Come non succede niente nella mia e, probabilmente, nella vostra vita. Nel senso di niente bombe atomiche, niente visite del presidente della repubblica, niente rivelazioni che in realtà siamo figli di un emiro del Qatar. Ma quante altre cose succedono? Migliaia, tutti i giorni, tutti i minuti. E John Williams è bravissimo a raccontare la normalità, la quotidianità. Grazie a Stoner si può capire quanto è intensa, quanto è difficile ma quanto è preziosa e degna la vita di ciascuno, soprattutto se vissuta con la consapevolezza che la si sta vivendo. Questo, a me pare, è l’essenza del libro e anche la ragione del successo (benché tardivo, dato che il libro è stato pubblicato in USA negli anni 60 e ripescato un paio di anni fa dalla New York Times Books Review).

Piccola nota curiosa: come sempre quando un libro mi piace molto lo passo a mia mamma. Qualche volta a lei non piacciono i libri che mi hanno appassionato, e ne discutiamo animatamente. Ma nel caso di Stoner lei mi ha raccontato che aveva messo a bollire dei fagiolini, ha lasciato la pentola in cucina sul fuoco ed è tornata a leggere nella sua poltrona, e dopo un po’ ha sentito uno strano odore di bruciato… non aveva bruciato solo i fagiolini, ma anche la pentola!

Ecco, credo che questo effetto sia il sogno di qualsiasi scrittore. E’ un  peccato che John Williams non possa ascoltare questa storia (oppure magari la ascolta da un luogo o non luogo a noi ignoto, nel qual caso mi scuso con lui perché l’ha già sentita fino allo sfinimento!)

Come sempre, buon sabato e buona lettura!