A Milano “Martinitt” è una parola magica: c’è anche un teatro dove è tornata la commedia intelligente

Tra i begli effetti collaterali di avere un blog c’è che ogni tanto, aprendo la posta, trovi un invito a qualcosa che non conosci, non sapevi esistesse, ma che ti incuriosisce. Ora, confesso che incuriosire la ciabattinasx (e mi sa anche la ciabattinadx, ma ve lo confermerà lei) non è cosa poi così difficile.

biglietto

Ma insomma poco tempo fa arriva questo messaggio dal Teatro Martinitt (noi abbiamo parlato di questa istituzione così milanese ma non del teatro), che ci invita a chiacchierare delle loro iniziative e poi a vedere lo spettacolo in corso, Prendo in prestito tua moglie. Come dire di no?

Ed ecco che ieri a bordo di un potente scooter le ciabattine partono alla volta del teatro, che sta, è vero, un po’ in periferia, ma è una struttura bellissima, una specie di isola d’epoca in una zona che era industriale e sta diventando post-industriale, e dotata di parcheggio (il che sappiamo che a Milano è un plus mica da ridere). Dopo chiacchiere e aperitivo, entriamo nel teatro, e non so per voi ma per me c’è sempre qualcosa di speciale nel sentire le luci che si spengono, il brusio che si affievolisce, l’attesa che si ispessisce mentre il sipario sta per aprirsi.

teatro martinitt

E’ una bella commedia, Prendo in prestito tua moglie. Classica: nelle situazioni, i qui pro quo, i malintesi, i doppi sensi; nella recitazione, romanesca senza esagerazione; nel finale, corale, luccicante, festoso; nella morale e nell’insegnamento, forti e precisi ma presentati con leggerezza e naturalità. E allegra. Per cui per due ore ti dimentichi i colleghi sgradevoli, le incombenze non svolte, il traffico, l’autunno, la spesa e chi più ne ha più ne metta. Credo la commedia sia nata per questo: per rappresentare i nostri timori e riderci sopra, che magari così ci fanno meno paura. Credo che il teatro sia nato per questo: per condividere i nostri timori e riderci sopra, o piangerci sopra, che magari così a tutti insieme e da un palco ci fanno meno paura.

Qui un assaggio della commedia:

Infine, quel bel momento di scioglimento della tensione che è la chiusura del cerchio, con gli attori che raccolgono gli applausi e in questo caso anche l’autore che sale sul palco a salutare, è stato ieri sera particolarmente caldo e affettuoso, come se davvero si fosse creata, anche solo per un attimo, una comunicazione circolare e una corrente positiva tra attori, pubblico e autore.

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Penso di poter parlare anche per la ciabattinadx nel dirvi, cari lettori e visitatori, abituali o occasionali che siate, dirvi che sì, tornare a teatro fa bene. E una commedia, se intelligente e ben diretta, può farvi passare una gran bella serata!

ps Mi scuso per la qualità delle foto, che questa volta è veramente pessima. A mia discolpa, invoco la situazione luci…

Happy popping: tutto quello che avreste voluto condividere e non avete mai osato chiedere.

Condividere o non condividere, questo è il problema. Sono matematicamente certa che oggi il buon Shakespeare riscriverebbe il famoso monologo di Amleto così. Perché ora la condivisione è tutto, sia “social” sia… sociale, a tutti i livelli. E Milano by Morning, la rubrica delle curiosità diurne milanesi, lo può ben confermare. Proponendovi una condivisione “dal vivo” (non la solita condivisione sui social media di foto/parole/canzoni eccetera), un’esperienza che abbraccia un po’ tutti, ma in prima battute mamme e bimbi. Sono proprio le mamme, si sa, ad aver dato vita a una community digitale immensa, per mettere in comune problemi e racconti quotidiani, e non vivere “in solitaria” l’avventura della maternità. E pensando a loro sono nati piacevoli spazi di aggregazione, dove ritrovarsi e vivere insieme ciò che si farebbe a casa propria, talvolta sentendosi un po’ isolate. Una delle attività da condividere? La poppata! A Milano in breve tempo si sono moltiplicati i luoghi che accolgono mamme e neonati, targati “Happy Popping”, ove allattare e cambiare il pannolino. Non solo Ikea, ma anche bar, ristoranti, cinema e musei: per sapere quali sono basta cercare la vetrofania che vi indichiamo qui di seguito.

Ecco la vetrofania che segnala i luoghi della "poppata felice" anche in compagnia di altre mamme

Ecco la vetrofania che segnala i luoghi della “poppata felice” anche in compagnia di altre mamme

Ma Laura-Dì, per le mattine Ciabattine, ovvero Milano by Morning, ha fatto un passo in più: ha trovato uno spazio cittadino che fa davvero della condivisione il suo leit-motiv. Si chiama Mamusca, e la mascotte è una matrioska: sì, perché al suo interno sono racchiuse tante idee realizzate in concreto. Non più sole, le mamme si trovano la mattina nella parte retrostante del negozio per allattare e ancor più per raccontarsi l’esperienza di madri così come di donne, di lavoratrici, di compagne. E i piccoli colgono di sicuro vibrazioni positive, assaggiando anche la prima esperienza di socializzazione. In aggiunta Mamusca ha una simpatica caffetteria, la libreria “Libri di Luna”.. e i bambini possono divertirsi con giochi tutti di legno realizzati in Italia e nel pomeriggio ritrovarsi anche per fare i compiti. Anche le superfici dei tavoli ripropongono giochi classici intelligenti…

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Photo: Laura Donati

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Photo: Laura Donati

L’età di Mamusca è molto vicina a quella dei bimbi: ha appena festeggiato il suo primo anno di vita. E per celebrarlo? Tutti gli amici del quartiere hanno condiviso (ancora una volta!) di tutto: nelle strade hanno portato tavoli, sedie, cibo, qui è intervenuta anche la celebre Banda degli Ottoni a Scoppio e sempre sotto il segno del “progettare insieme” Paola della Pergola (vi ricordate la signora che guida nella tintura con le foglie?) ha sferruzzato in buona compagnia realizzando metri e metri di filato. Con questo hanno rivestito a festa gli alberi e i pali della luce delle vie: un ornamento che più di ogni altro ha testimoniato il calore della condivisione!

Sferruzzare & condividere: così si sono prodotti i filati per vestire a festa il quartiere

Sferruzzare & condividere: così si sono prodotti i filati per vestire a festa il quartiere (photo:Laura Donati)

Anche i pali fanno la loro bella figura (photo:Laura Donati)

Anche i pali fanno la loro bella figura (photo:Laura Donati)

P.S. per un “incontro ravvicinato” con Mamusca, trovate tutte le info qui: http://www.mamusca.it

 

E domani… Gooooood morning Milaaaano!

Un piccolo memo: domani torna la mattina Ciabattina con la rubrica Milano by Morning, quella un po’ “di servizio”, che vi racconta le curiosità da scoprire e le attività da fare a Milano nelle ore antimeridiane, o comunque diurne (perchè della Milano by Night si parla già tantissimo!). Al fianco di Ciabattinadx c’è sempre Laura-Dì, che in giro per la città trova le idee utili per tutti. Allora a domani, al grido di……….. con piacere lo faccio dire all’indimenticabile Robin Williams, che qui prende in prestito anche la voce dell’amico Giuseppe Ardia.

 

La pianta di Milano… fatta con gli alberi!

E’ arrivato ormai l’autunno: le prime piogge toccano la pianura, le prime correnti di aria fredda spazzano le chiome degli alberi, fino a far cadere il loro carico di foglie, ormai debilitati dai caldi estivi che ne hanno stremato ogni resistenza. Per terra tappetti di macchie di colore, che vanno dal giallo al rosso, ricoprono strade e aiuole. E’ la grande occasione per capire che alberi abbiamo sotto casa e fuori da scuola o semplicemente abitano con noi, nel nostro quartiere. Le foglie ne rivelano carattere e specie. Platani, Robinie, Ippocastani, Frassini, Abeti, Pini, Pioppi , Cipressi, sono i più comuni, ma a volte in alcuni giardini privati si possono vedere, da dietro le cancellate o i muri di recinzioni, Magnolie, Gingko, Aceri e persino qualche Cedro del Libano. La cosa più buffa è che questi nostri verdi vicini passano per la gran parte dell’anno inosservati e solo quando i rami cominciano a far mostra della loro struttura sfrondata, proprio le foglie sono rivelatrici della loro vera natura. Allora è l’occasione buona per proporre un utile passatempo per i vostri figli: mandateli nel giardinetto più vicino a casa. Dite loro di raccogliere un buon numero di foglie, di tipo e forma tutte diverse e poi dedicate qualche minuto a ricercare insieme, a che albero possono appartenere.

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Foglie adagiate su un tavolo da lavoro

Qui di seguito, a tal fine, vi indichiamo una serie di siti internet che agevoleranno voi e i vostri bambini a individuare specie ed essenze che vivono sotto casa vostra o semplicemente a riconoscere gli alberi grazie al tipo di foglie raccolte. Vedrete che sarà una bella esperienza. I siti come potrete ben vedere sono di diversa matrice: da quelli istituzionali (padovanet.it, cernuscosulnaviglio.it , thegreencorner.it, parcocastelliromani.it ) a quelli più scientifici (crestnc.it), a quelli più divulgativi (foglia-id.com, paysdegueret.info. Sono tutti validi ai fini della nostra ricerca. Scegliete voi quello che più vi aggrada e il più adatto all’età del vostro bambino. Ma al di là delle ricerche, con le foglie si possono fare simpatici esperimenti, con risvolti davvero creativi! Vi ricordo ad esempio che Ciabattinadx, nella prima puntata di Milano by Morning, vi aveva illustrato come possano essere utilizzate nel campo della tintura dei tessuti, le nostre belle foglie raccolte .

Si comincia raccogliendo le foglie... (photo: Luigi Alloni)

Si comincia raccogliendo le foglie… (photo: Luigi Alloni)

Inoltre una volta presa dimestichezza con le essenze vegetali possiamo andare a osservare degli interessanti esemplari, disseminati per le vie di Milano. Come non ricordare allora in questa breve disamina la grande Quercia Rossa di Piazza XXIV Maggio (Porta Ticinese), piantata alla fine della I Guerra Mondiale quale monumento green ai caduti; o l’enorme Cedro dell’Himalaya all’ingresso dei Giardini Pubblici di Porta Venezia (lato Palazzo Dugnani); oppure lo strano Cedro ibrido, incrocio tra un Cedro del Libano e un Cedrus Deodara vicino alla Palazzina Liberty al Parco di Largo Marinai d’Italia; e ancora il vecchio esemplare (molto probabilmente trapiantato e immortalato più volte dai pittori) di Pino di Corsica alla Vetra (lato Basilica di S. Lorenzo); e anche l’antico Platano di Via Astesani /Viale Affori, nei pressi della fermata del tram, conosciuto come “la pianta”; o la Magnolia di Piazza Cairoli, recentemente salvata, dai lavori previsti per Piazza Castello, dopo l’insurrezione degli abitanti della zona; e il Bagolaro di Largo Treves, che ha preso il posto del più vecchio platano tanto amato dalla Vanoni e che fu abbattuto perché danneggiato da un violento nubifragio; e infine, ma non ultimo, il cedro del Libano della martoriata Largo Rio de Janeiro (slargo di Viale Romagna, zona Città Studi), salvato in extremis dalle ruspe al lavoro per il box sotterraneo.

L'autunno visto da Snoopy

L’autunno visto da Snoopy

Insomma, tutto ciò per dire che la cultura di Milano e l’identità dei piccoli milanesi si accresce anche attraverso il nostro patrimonio botanico.

#TreQuarti14: il festival in cui sono i lettori che presentano i libri

10007327_10152505869687632_3723851306928984066_o La vostra ciabattinasx fortunata è di nuovo qua a raccontarvi le sue fortune.

Questa volta sotto forma di un piccolo festival,Tre Quarti di Weekend, che è ancora in corso a Pavia. Io ci sono stata ieri ed è stato molto bello e per questo ve lo racconto. E’ stato ideato da Critica Letteraria, che è un blog di libri, serio come suggerisce il nome, competente e attento.  Attento ai libri che hanno successo. Attento ai libri che passando inosservati. Attento ai libri che ci sono sempre stati, quelli “di catalogo”, di cui facilmente ci si dimentica nell’affollamento di quelli nuovi. E attento ai giovani autori, a cui questo festival è dedicato. Anche se in realtà, e questo è quello che a me è piaciuto tanto, il festival celebra i lettori.

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Sul rapporto tra il libro, l’autore e i suoi lettori molto si è scritto e molto si è discusso. Ma resta certo che senza lettore il libro non esiste, e che ogni lettore mette dentro il libro che sta leggendo molto di sé, e se trova l’occasione per raccontarlo all’autore, l’autore se ne arricchisce, e a volte se ne stupisce.

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L’ho visto succedere ieri, mentre Laura Ingallinella, con piglio dolce e deciso, raccontava il suo libro ad Alessandro De Roma, e per suo libro intendo il libro di Alessandro De Roma, La mia maledizione. C’era una luce, nel modo in cui Alessandro guardava Laura, proprio di stupore e anche di piacere, come dire non sapevo di averci messo tutto questo, dentro il mio libro.

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L’ho visto succedere anche con Gloria Ghioni che aveva letto Quella vita che ci manca di Valentina D’Urbano, e  si meravigliavano, Gloria e Valentina, di aver pianto sulle stesse pagine, di amare e detestare gli stessi personaggi, come farebbero due conoscenti che scoprono di aver amato lo stesso libro per le stesse ragioni.

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E in modo diverso l’ho visto succedere sempre con Gloria Ghioni, che questa volta raccontava ad Annarita Briganti la sua lettura di Non chiedermi come sei nata. E Annarita, che è una combattente e, alla sua 46° presentazione del libro, “rotta ad ogni esperienza”, ascoltava un po’ rapita un po’ trasognata: c’era qualcuno, allora, oh sì, c’era qualcuno che aveva capito da che bisogno profondo ma anche da che scelta precisa nasceva quel libro.

Io non ne ho letto nessuno, di quei libri, e quindi per il momento non posso aggiungere nulla.

E certo non tutti i lettori e le lettrici sono così accurati e così profondi come il gruppo di Critica Letteraria e Tazzina di e Sara Bauducco. Ma l’idea di partire dal punto di vista dei lettori l’ho trovata bella e sensibile e delicata. E il clima del festival era fresco e gentile. La prosopopea, la presunta superiorità di chi legge, l’intellettualismo, non erano stati invitati e non si sono presentati. La serietà, l’entusiasmo, la determinazione, la competenza, la bravura, la dolcezza e l’affettività c’erano, in spades!

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E quindi complimenti e grazie a tutti quelli che mi hanno accolto e reso partecipe di TreQuarti, il festival che invece è proprio intero, e integro!

 

 

L’ARTE DI RITORNARE “COME” BAMBINI.

È poetico pensare che dentro di noi vive una nostra parte bambina. Quel modo di essere non contaminato dalle esperienze, fatto solo di innocenza, freschezza e spontaneità. È con questo pensiero che mi sento di introdurre un tema delicatissimo, esplorato da Urban Times e GV Art Gallery di Londra: il racconto dei traumi scientifici attraverso l’arte. Insieme, un paio di anni fa,  hanno infatti studiato la relazione, il dialogo tra questi universi, analizzando in particolare l’effetto dei traumi medici sulla mente. Il focus è stata la connessione tra arte e Alzheimer.

William Utermohlen: autoritratto

William Utermohlen: autoritratto (foto apparsa su Urban Times)

A tal proposito è stata di grande supporto l’intervista a Patricia, che ha raccontato la sua esperienza di vivere accanto al marito artista William Utermohlen, a cui fu diagnosticata tale patologia nel 1995, senza che per questo rinunciasse a dipingere (scomparve poi nel 2007). I suoi ultimi autoritratti realizzati fino al 2001, rappresentano un racconto davvero unico di come questo male abbia potuto “impadronirsi” della sua mente e dei suoi sensi.

Autoritratti di William Utermohlen: il declino artistico a causa della malattia

Autoritratti di William Utermohlen: il declino artistico a causa della malattia (foto apparsa su Urban Times)

Senza perdersi d’animo l’artista ha voluto procedere adattando stile e tecnica ai limiti che il morbo imponeva alle sue percezioni e alle sue capacità, creando ritratti che testimoniano tali difficoltà. Quanto descritto riproduce fedelmente l’articolo che ho trovato in rete su Urban Times (grazie alla segnalazione dell’amico Paolo Galimberti) e che mi ha tanto colpito. Per una volta non ho desiderio di aggiungere miei commenti che risulterebbero del tutto retorici: la sofferenza umana si spiega da sola, non ha bisogno di inutili parole, è naturalmente condivisa dagli animi. E quando è compartecipata, non c’è esperienza – pur tormentata e penosa – che vada perduta. Qui, la forza delle immagini di William Utermohlen, in un primo tempo legate all’arte figurativa per poi cedere il passo a uno stile minimalista, a parer mio hanno l’energia espressiva e l’essenziale potenza di quelle di un fanciullo. E costituiscono una galleria infinitamente poetica della sua sensibile e coraggiosa umanità.

Cose belle che succedono a Milano. Che è una città accogliente, checché se ne dica

Tutto comincia da Livorno o meglio da Pisa. La ciabattinasx lì è cresciuta, un po’ di tempo fa. Lì ha conosciuto una ragazza che è rimasta sua amica pur nella lontantanza, e che ora sta a Livorno e che è sempre stata intonata e da un po’ ha cominciato a cantare in un coro: il coro Garibaldi d’assalto. Un nome pieno di fierezza come le camicie rosse e gli scialli rossi dei coristi, come il portamento e lo slancio con cui intonano i canti di protesta, i canti sociali e i canti partigiani. Il coro Garibaldi d’assalto ha un fondatore, Pardo Fornaciari, che è anche un ricercatore di canti sociali.

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E il mondo dei canti sociali è così variegato e ricco che un ragazzo sardo 10 anni fa ha deciso di creare un sito che li raccogliesse e ne conservasse la memoria: www.ildeposito.org. E sabato e domenica si è festeggiato il decimo compleanno del Deposito, alla Scighera qui a Milano.

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E abbiamo passato due bellissime serate. La prima, quella di venerdì, dominata da Davide Giromini, fantastico fisarmonicista. Con una faccia un po’ da Nosferatu, una grande intensità e la magia di uno strumento con un suono così ricco e potente che ti invade e riempe completamente. La seconda, quella di sabato, con Anna Barile, Claudio Cormio, Paolo e Isabella Ciarci, Marco Rovelli, Pardo Fornaciari, Giubbonsky, ancora Davide Giromini, e poi una divertentissima jam session.

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E sapete qual è la cosa più bella? Che si cantava tutti. Anche io che sono stonata (lo so, chi canta poi ti dice che non esistono gli stonati, che a cantare si impara ecc, ma io vi assicuro che quando sento gli altri che cantano e me stessa, beh la differenza la sento, non sono mica sorda!). Ho cantato con gusto e sono stata contenta di averlo fatto!

Quindi ringrazio Il deposito per il lavoro che ha fatto, la Scighera per aver ospitato la serata (avrei anche voluto rubare alcune poltroncine vintage con cui hanno arredato la sala, ma mi sono trattenuta), la mia amica per avermi fatto partecipare al canto, e Narciso (che fa parte anche lui del coro Garibaldi d’assalto) per le foto che vedete qui (e aggiungo per chi mi legge abitualmente che le foto non sono mie solo perché avevo dimenticato la macchina fotografica, dopo la prima lezione intensiva con Giacomo Artale sono già migliorata!).

E d’ora in poi se vi viene voglia di cantare, non trattenetevi!

 

 

Un nuovo tipo di parco per una merenda classica.

Approfittiamo degli ultimi scampoli di clima estivo di questi giorni per visitare nelle ore più calde qualche area verde di Milano, dove magari fare un pic-nic o una merenda. Uno dei luoghi che a Milano si presta di più per fare un’esperienza di questo tipo è il Parco Archeologico dell’Anfiteatro. Defilato, quasi nascosto, si apre ai nostri occhi, se solo si è veramente curiosi e ben informati! E questo per certi versi è anche lo scopo di questa rubrica: insegnare ai bimbi a essere curiosi e informati.

Dicevo come il luogo si sia trovato nel tempo a essere un vuoto nascosto tra le costruzioni, in un interno di pace quasi irreale. Ci si accede oggi dal chiostro dell’ex convento femminile retrostante alla chiesa di S. Maria alla Vittoria, con ingresso da Via De Amicis 17, oggi adibito in parte ad Antiquarium.

Via De Amicis 17- L'ingresso dall'ex convento (foto di Giacomo Artale)

Via De Amicis 17- L’ingresso dall’ex convento (foto di Giacomo Artale)

Questo è un piccolo spazio museale che illustra come funzionava l’anfiteatro romano di Milano e raccoglie l’insieme delle testimonianze archeologiche del quartiere, in modo da orientare la visita all’interno dell’area. Una volta informati su cosa si sta per vedere, attraversando le strutture conventuali, un cancello ci introduce al parco vero e proprio, dove oltre ad un lapidarium (l’insieme delle lapidi e dei manufatti in pietra rinvenuti), è possibile osservare gli scavi che hanno portato alla luce una porzione delle strutture dell’immensa arena romana.

 

Ciò che rimane dell'imponenete anfiteatro romano (foto di Giacomo Artale)

Ciò che rimane dell’imponenete anfiteatro romano (foto di Giacomo Artale)

Ed è proprio il nome di “arena” (che ancora oggi porta una delle vie limitrofe fin dall’anno 1000) che all’inizio del XX sec. ha fatto insospettire gli studiosi e soffermare la loro attenzione su questo luogo, che era completamente diverso. Infatti a seguito di un bando comunale del 1924 per la sistemazione del circondario di Via Arena, in stretta relazione al risanamento del quartiere del Ticinese, durante un saggio nel terreno nel 1931 spuntarono delle pietre insolitamente regolari. Tenete conto che prima della II Guerra Mondiale, la zona popolarissima era tra le più tipiche della vecchia città, ricca di aspetti caratteristici soprattutto per la presenza di canali, in gran parte occupata da abitazioni cadenti e malsane. Fatto sta che gli scavi non si fermarono e la porzione verde, oggi aperta al pubblica, venne liberata dalle case fatiscenti.

Ciò che rimane dell'antico tessuto abitativo della zona (foto di Giacomo Artale)

Ciò che rimane dell’antico tessuto abitativo della zona (foto di Giacomo Artale)

Ne rimane ancora oggi solo qualcuna cadente, ai limiti del parco, lungo la via Conca del Naviglio. L’intero quartiere tra il Corso di Porta Ticinese, la Via Arena e la via Vetere venne sottoposto a profonda indagine e poi lasciato come spazio abbandonato tra gli sterpi per parecchi anni, finchè nel dopoguerra  si costruirono i palazzoni moderni ai margini dell’area archeologica. Oggi, recintata da cancellate, la stessa è qualcosa che sta a metà tra un giardino pubblico, un parco giochi condominiale e una zona di interesse culturale: mix davvero unico e interessante, anche per via della cura e della manutenzione continua che vi viene impiegata.

L'atmosfera del parco (foto di Giacomo Artale)

L’atmosfera del parco (foto di Giacomo Artale)

Ma come si presentava questa zona durante l’impero romano?

Era un luogo dove si svolgevano le manifestazioni ludiche più spettacolari, e dove quindi venivano dati dai maggiorenti della città i segni della loro generosità. L’anfiteatro in pietra fu fatto costruire, secondo la storiografia, da Marco Ulpio Traiano alla fine del I sec. d. C. Vi si tenevano combattimenti di gladiatori e di condannati (anche cristiani), cacce con belve esotiche, le naumachie (combattimenti su barche). Secondo la cronaca funzionò fino almeno al VI sec. Poi, durante i secoli bui del Medioevo, ci fu l’abbandono, il saccheggio e l’area divenne come una sorta di cava di pietra, dove si poteva andare a recuperare materiali per la costruzione di edifici. Tanto che ci si è chiesto spesso se i grandi blocchi di pietra, le cornici e le mensole forate, i capitelli e i cunei che si vedono poggiati a mo’ di fondamenta, sotto la parte in laterizio delle cappelle della basilica di San Lorenzo (lato Piazza Vetra) appartenessero proprio a questa struttura.

Gli scavi e un cartello esplicativo con la ricostruzione del grande anfiteteatro. (foto di Giacomo Artale)

Gli scavi e un cartello esplicativo con la ricostruzione del grande anfiteteatro. (foto di Giacomo Artale)

Secondo le ricostruzioni pare che l’anfiteatro fosse costituito da un’ellisse di considerevole ampiezza, i cui diametri erano 155×125, e con una dimensione totale di almeno 32 m. Oggi di questa imponente struttura si può vedere solo una piccola porzione, con una serie di blocchi di pietra posati a pettine, e una seria di interessanti resti di lapidi e capitelli disseminati all’ingresso dell’area. Ma la visita ad un luogo come questo può rappresentare anche un’occasione unica per una ricreazione diversa per i vostri figli (e anche per voi)!

 

Orario di apertura:

Parco

09.00-16.30 mar-ven (orario invernale); ma-ven 09.00-18.00 (orario estivo) sab 9.00-14.00; chiuso dom, lun.

Antiquarium: 09.00-14.00 gio, ven, sab, chiuso da dom a merc.

 

 

 

 

Quella volta che Ugo Tognazzi preparò un piatto con l’aureola

Mi viene da iniziare come nel libro sacro che tutti ben conoscete. In quel tempo, Ugo Tognazzi aveva casa a Velletri, non lontano da Roma dunque, quando ricevette una telefonata molto più che insolita.

Lo "chef Ugo" nel film Il Vizietto

Lo “chef Ugo” nel film Il Vizietto

Una voce gentile e flautata gli preannunciò una visita importante, che l’attore avrebbe dovuto tenere in assoluta segretezza. Il suo “futuro” ospite condivideva le origini lombarde di Tognazzi e la passione per le relative ricette gastronomiche. In sintesi, chiedeva all’esperto chef Ugo di preparare per lui un piatto di polenta, che da troppi anni non gustava più. Così, racconta l’attore, potè “scrivere nell’albo d’oro dei suoi ospiti più illustri anche il nome di Papa Giovanni XXIII”. Insomma, si ritrovò a preparare un buon piatto… per il papa buono (quello della famosa carezza da portare a casa ai “bambini del 1962”)! Una leccornia rigorosamente nel segno della Lombardia (segnalo che poi il piatto fu a base di polenta taragna)! Sottolineo volentieri quindi che quel papa, ora fatto santo, era non solo buono, ma ancor di più un buongustaio. La polenta, antico piatto povero che in realtà ha sfamato un po’ tutto il territorio italiano, prende il nome dal latino puls, una sorta di polenta di farro che rappresentava la base dell’alimentazione delle antiche popolazioni italiche. La più comune da molto tempo è quella preparata con la farina di mais, che come sappiamo venne però importato nel nostro Paese dopo la scoperta dell’America.

Povera ma ricca!... la polenta. (photo da Jacob's Kitchen)

Povera ma ricca!… la polenta. (photo da Jacob’s Kitchen)

Dai milanesi è stata sempre molto amata e accompagna diverse ottime pietanze della tradizione, come la semplice ma invitante “polenta con fagioli borlotti”. Ed ecco, signori e signore, che la nostra amica ed eccellente chef Mariangela Marchesi di Cucina Cre-Attiva ne ha preparata una versione innovativa e super contemporanea che vi presento con orgoglio ciabattino (perché ci dedica sempre queste primizie!) e che vi consiglio davvero! Il titolo della ricetta che trovate sul suo sito http://cucinacre-attiva.weebly.com/ è “Milano e i fagioli” ed è anche bella e originale da servire visto che è una specie di torretta multi-gusto con polenta fritta, pomodori confit frullati e una spuma piccantina di borlotti. Ed è semplice, se seguite le istruzioni di Mariangela!

Milano e i Fagioli, di Cucina Cre-Attiva

Milano e i Fagioli, di Cucina Cre-Attiva

Suggerisce persino la versione “ fast good” con la polenta rapida. So che lo pensate anche voi, dopo il raccontino del buon Tognazzi: potrete portare in tavola un piatto non solo buono. Addirittura santo.

 

 

 

 

Storie milanesi, arte e lamenti. Gli effetti collaterali di Expo15

Expo2015

Ormai è proprio vicino. Si sa che l’anno, ogni anno, arrivati a settembre comincia a viaggiare precipitosamente verso la fine. Ottobre e novembre sono mesi quasi normali ma dicembre passa in un baleno e siamo nel 2015. L’Expo che sembrava tanto lontano sarà arrivato.

Ora mettersi a scrivere dell’Expo2015 è un po’ come cacciarsi nella bocca del leone. Polemiche e scandali non ce li siamo fatti mancare, al punto che vedere il cartello che invitava ad offrirsi volontari per la città mi era sembrato discutibile assai.

Quello che mi piace raccontare però, perché mi ha colpito, è come l’Expo abbia risvegliato la voglia di realizzare e un certo orgoglio milanesi che, a me sembra, si erano un po’ sopiti negli ultimi anni. Questa considerazione, che mi ha fatto piacere, mi è venuta in mente alla presentazione del sito Storie milanesi, a cui sono stata lunedì mattina. Che già un lunedì mattina in città, per una che tutti i giorni va in un edificio isolato da tutto per quanto bello, è un lusso da gustarsi attimo per attimo. E poi il meraviglioso palazzo, in corso Garibaldi, della Fondazione Adolfo Pini, dove si teneva la conferenza stampa.

Basta guardare il soffitto, per restare incantati

Basta guardare il soffitto, per restare incantati

E questa sala con un soffitto da restare a guardarlo per ore.

Storie Milanesi è un luogo digitale dove si racconta una Milano, che un po’ si sa e un po’ non si sa, di personaggi operosi e poi famosi, da Alessandro Manzoni a Emilio Tadini, di cui la città conserva gelosamente le case in cui hanno vissuto o lavorato o vissuto e lavorato. Conservate così gelosamente che molti non le hanno mai viste e molti non sanno neppure che esistono. Storie milanesi le mette insieme, o meglio “in rete” e crea dei percorsi che sono anche degli attraversamenti di questa città così bella e così particolare.

Lo studiolo di Ale

Lo studiolo di Ale

La sede della Fondazione Franco Albini. Chissà se ci si può andare a leggere

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Il museo Poldi Pezzoli. Gli stranieri ci vanno sempre, i milanesi non so

Il museo Poldi Pezzoli. Gli stranieri ci vanno sempre, i milanesi non so

Magari l’avebbero fatta anche senza l’Expo. Ma l’Expo gli ha dato uno slancio in più. Un ritorno di orgoglio. La voglia di raccontare e far conoscere.

Ecco, io questo aspetto dell’Expo lo trovo bello e anche solo per questo vale la pena. Ed è buffo che proprio il giorno prima avessi sentito un commento che diceva “hanno già prenotato un milione di cinesi, io me ne vado da Milano per i 6 mesi dell’Expo”. E ne avevo sentite altre, di persone che progettavano di lasciare la città. E mi viene da dire, ma come, proprio ora che la gente viene a vedere la nostra città noi ce ne andiamo? Non abbiamo voglia di vedere come la guardano, di chiedergli cosa ne pensano, di dargli le indicazioni stradali? E di verificare se gli piace quello che è stato costruito per il loro arrivo? E di usare anche noi “il servizio buono” che stiamo tirando fuori dai cassetti e spolverando? Io sì, ne ho proprio voglia.

E spero che anche grazie all’Expo Milano continui ad essere quel posto che nasce e rinasce, a cui sono tanto affezionata!