Omaggio a Milano che crea e distrugge, extended

Questo nuovo intervento su questa sezione de “la Milano che non si sa”, prende le mosse da una commento di un nostro lettore all’articolo sull’abbattimento del quartiere Case Rotte per la costruzione del palazzo della Banca Commerciale, in Piazza Scala, in cui si mette in luce come ogni epoca abbia voluto lasciare il suo segno nella città, spesso (ahimè!) con sventramenti imponenti. Che sì, ci “regalano” il nuovo, ma più spesso ci cancellano antichi tessuti abitativi. E queste ferite sono tanto più traumatiche quanto più intervengono su aree centrali in cui si sono stratificati, pietra dopo pietra, consuetudini, costumi, vite di vicinato, che influiscono profondamente sulla quotidianità dei singoli. Perché spesso al di là della perdita di interi settori urbani, si tratta di veri e propri sradicamenti, di stravolgimenti di vita di interi nuclei familiari, a cui magari si prospetta una moderna casa in un quartiere più periferico.

Ora, non voglio farvi una carrellata di casi, ma la storia dell’urbanistica milanese è ricca di distruzioni eccellenti. Il nostro lettore ci fa notare ad es., come peraltro vi abbiamo già illustrato in precedenti articoli, che “senza sventramenti non avremmo neppure il Teatro alla Scala e la Galleria Vittorio Emanuele.(…) col delirio di onnipotenza di creare dal nulla il migliore dei mondi possibili. Lo stesso con cui Mussolini ricreava la romanità (…).Fosse pure vero che col senno di poi chiudere i navigli è stato una boiata “.

Naviglio di Via Senato prima della chiusura degli anni Trenta

Naviglio di Via Senato prima della chiusura degli anni Trenta

Il regime fascista applicò spesso, anche a Milano, il concetto di nuovo come creazione di una realtà migliore, di modernità applicata per motivi igienici. Con queste argomentazioni si coprirono i Navigli della cosiddetta fossa interna, per dotare il centro di ampie strade che facessero largo alla velocità dei veicoli a motore. O ancora più gravemente si spazzarono via ampi quartieri centrali, come il Bottonuto, un ampio e antichissimo settore urbano (tra Porta Romana e il Duomo), per fare spazio alle speculazioni immobiliari di Piazza Diaz  e ai palazzoni di Via Mazzini del “romanissimo” architetto Piacentini , lo stesso progettista che nello stesso periodo concepiva il Palazzo di Giustizia.

Veduta dall'alto degli sventramenti nel Bottonuto per la costruzione di Piazza Diaz

Veduta dall’alto degli sventramenti nel Bottonuto per la costruzione di Piazza Diaz

Quest’ultimo esempio peraltro non è citato a caso, perché per edificare l’imponente volume della cittadella degli uffici giudiziari si dovettero abbattere ben tre antiche strutture conventuali, che lì sorgevano tra Il Corso di Porta Vittoria e la Via S. Barnaba. Subito in fronte si sacrificò il convento di S. Pietro in Gessate, che aveva ospitato in ultimo i Martinitt, per costruire i nuovi uffici della Questura (poi Provincia). Ma il fascismo non risparmiò nemmeno monumenti simbolo: lo “sfregio” compiuto a Palazzo Reale (che in quel momento ospitava in qualità di reggia milanese gli appartamenti del re) per la costruzione del nuovo Arengario è un esempio illuminante! Si tratta ormai di un edificio ben integrato in una storicizzata Piazza Duomo, ma che dovette sacrificare l’ala viscontea di Palazzo Reale (la cosiddetta “Manica Lunga”) che si protendeva verso il Duomo, fin quasi a toccarlo.

Le distruzioni dei bombardamenti della II Guerra Mondiale intorno alla Vetra

Le distruzioni dei bombardamenti della II Guerra Mondiale intorno alla Vetra

Quello che non fecero gli appetiti degli speculatori vicini al regime, fecero più tardi i bombardamenti dell’estate del ’43 e del ’44, aprendo la strada ai nuovi quartieri del centro intorno alla Vetra o regalandoci l’elegante zona, caratterizzata dai begli esempi di Razionalismo, tra Via Albricci e Via Paolo da Cannobio. Ma questa è un’altra storia di una città che sa velocemente autorigenerarsi, poi denominata “ricostruzione”.